Già negli anni settanta qualcuno tento la strada unendo Ferrari e Jeep.

Già negli anni settanta qualcuno tento la strada unendo Ferrari e Jeep.

Quando verrà lanciato, il nuovo suv Ferrari – denominazione in codice 175 e probabile nome commerciale Purosangue – non sarà il primo nella storia del Cavallino.

E’ stato infatti preceduto, anche se in forma non ufficiale, da una realizzazione portata a termine agli inizi degli Anni ’70 negli Stati Uniti.

Il milionario americano William F. Bill Harrah, creatore dell’omonimo casinò a Reno nel Nevada e grande collezionista di auto Ferrari comprese, chiese in quel tempo alla Casa di Maranello una vettura fuoristrada ‘su misura’ per poter andare nella sua baita sulle vicine montagne.

Ma la risposta fu negativa e Harrah, che disponeva per il suo museo privato di una vera officina in grado di ricostruire ex novo un’auto da restaurare, non si perse d’animo. Nei vasti garage di Harrah a Reno erano parcheggiate una Ferrari 365 GT 2+2 del 1969 e una Jeep Wagoneer immatricolata nel 1970.

Il team dei meccanici del ‘magnate’ dei casinò si mise al lavoro con impegno e utilizzando parti dei due modelli creò il primo dei due esemplari del suv ad alte prestazioni Jerrari di cui si conosce l’esistenza. Una denominazione ‘unica’ per una vettura discutibile sia sul piano estetico che meccanico, ma sicuramente ‘unica’ nel mondo del collezionismo.

Dalla Wagoneer vennero prelevati il telaio, la scatola di trasferimento del sistema 4×4, gli assali, i freni (a tamburo) e la maggior parte delle parti del corpo vettura – fino al montante anteriore – e tutto l’abitacolo. La 365 GT 2+2 fornì invece alla Jerrari il motore 4.4 V12 (modificato nel carter per poter essere alloggiato in corrispondenza del differenziale anteriore) e tutta la carrozzeria fino alle porte e al montante anteriore.

Venne anche sostituito il cambio originale Ferrari a 5 marce, rimpiazzato da un 4 marce Borg-Warner T-10, mentre per la frizione si utilizzò un ‘misto fra pezzi Ferrari e Chevy’.

L’auto venne completata nel 1971, facendo ricorso all’opera di un gioielliere di Reno che in circa 4 ore di lavoro realizzò la J in metallo lucido che serviva per creare la scritta Jerrari. Una serie di stemmi con Cavallino venne invece utilizzata nell’abitacolo per personalizzare il volante (fuoriserie) e la plancia, rimasta però quella originale della Wagoneer.

Nell’agosto del 1971 la Jerrari venne provata da Road & Track che giudicò ”la stabilità alle alte velocità non impressionante” ma riferì che l’accelerazione sul quarto di miglio (tipica distanza delle gare Usa) si realizzava in ”in 15 secondi netti e quella da 0 a 60 mph (cioè 100 km/h) in circa 9 secondi”. La velocità massima venne stimata in 210 km/h, ma definita ”allarmante in funzione degli assi rigidi anteriori e posteriori”.

Nel 1977 Harrah decise di aggiungere un’altra Jerrari alla sua collezione. Fece quindi spostare il motore V12 dall’esemplare con carrozzeria modificata in un’altra Wagoneer, ma questa volta non chiese ai suoi specialisti di alterare il look originale Jeep.

La prima Jerrari costruita venne poi utilizzata personalmente da Harrah, ma con un motore V8 made in Usa, mentre la successiva – quella con look Jeep e il V12 sotto al cofano – entrò a far parte del National Automobile Museum in Reno come ‘attrazione’ fissa.

Della prima auto, dopo la scomparsa di William F. Bill Harrah nel 1978, e la successiva dispersione di una parte del museo, si erano perse le tracce fino al 2008 quando il collezionista tedesco Alex Lockmann – come riferisce il magazine Auto Motor und Sport – la acquistò su eBay per soli 20.300 dollari. Ora la strana ‘Ferrari’ off-road fa bella mostra di sé in Germania, dove è stata regolarmente collaudata e immatricolata, testimonianza (anche se con motore V8) di una tendenza, quella dei hypersuv, che si è concretizzata solo in tempi molto più recenti.

 

Fonte Ansa

 

 

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Renzo Raimondi
Renzo Raimondi - Padre di famiglia fiero, grande appassionato di motori e auto storiche.

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